giovedì 8 maggio 2014

Intervento su Il cane di Pavlov, presso la Casa della poesia, Milano.

Il testo che tra poco sentirete grazie alla voce di Viviana Nicodemo è ispirato ad un fatto di cronaca accaduto qualche anno fa a Roma: un ingegnere informatico di 41 anni è stato accusato dell'omicidio per impiccagione di una ragazza alla quale aveva proposto un gioco erotico, ispirato ad una vecchia tecnica giapponese. Il garage che ospitava la carrucola che serviva alla pratica erotica era non lontano dal luogo di lavoro sia della vittima che del carnefice. Mi è sembrato di scorgere in questa vicenda tragico grottesca un episodio esemplare. Per Il cane di Pavlov ho pensato di invertire i ruoli e di affidare la parte del carnefice ad una donna, Martina, e la parte della vittima ad un uomo, Bruno. Su questa trama ho pensato di costruire un monologo che rispettasse una cadenza metrica fatta per lo più di ottonari e settenari, un monologo-poemetto Il punto di vista della storia è quello di Martina, è lei che riporta con piglio da entomologo le vicende narrate. Il suo è uno sguardo lucido, spietato, solo a tratti sarcastico. Martina si rivolge ad una perizia psichiatrica incaricata di valutare i fatti, di decidere della sanità mentale della donna, dopo la morte dell'amante-collega, apparente vittima di un gioco sadomaso. Martina si rivolge a dei periti che potremmo essere noi, qui presenti in sala, ci chiede di giudicare e di entrare nella macchina oscena che lei stessa ha creato. Il personaggio di Martina dovrebbe ricordare una moderna Pentesilea, in lei deve esserci la stessa mutazione che ha subito l'amazzone nell'omonimo dramma di Von Kleist: qui, Pentesilea, innamorata di Achille e da questo ricambiata, uccide l'eroe greco in battaglia e ne mangia il corpo. Il finale della tragedia kleistiana, come ricorderete, inverte l'epilogo del mito originario secondo il quale l'amazzone è ferita da Achille che se ne innamora in punto di morte. Il rovesciamento dei ruoli nella scrittura teatrale di Von Kleist impedisce l'idealizzazione del femmineo e mette invece al centro della scena le pulsioni, l'aggressività della sua eroina. Il testo di Kleist è stato forse la fonte letteraria che più ha ispirato il personaggio di Martina. Per citare un modello più recente, si potrebbe anche dire che lei è una moderna ragazza Carla, ormai pienamente consapevole dell'ambiente che la circonda e capace di gestire il mondo aziendale e quello dei maschi. Se Martina è una segretaria silenziosa, ma spietata e acuta, Bruno è un ragazzo provinciale, impacciato e meschino nella sua volontà di affermazione sociale. Per Martina è la vittima ideale. Bruno incarna l'impotenza del sentimento "ingenuo" di fronte alle dinamiche del potere. Il nome di Bruno è un omaggio al protagonista de Le particelle elementari di Michel Houellebecq, autore francese che ha saputo tradurre in letteratura il paradigma contemporaneo della bio-politica, o ciò che egli stesso ha chiamato con un titolo efficacissimo "l'estensione del dominio della lotta". Sul corpo di Bruno s'incide la verità contemporanea di un mondo ridotto a gioco di forze, un mondo in cui la legge dell'azienda informa e modula la sfera più intima degli individui. I due protagonisti del monologo si conoscono casualmente, durante un aperitivo tra colleghi. Tra di loro si crea il legame fatale, il nodo inscindibile di rispecchiamento di pulsioni estreme. Sarà Martina a condurre il gioco, a forzarlo, porterà il suo compagno oltre "la percezione media della vita", per mostrargli il meccanismo che regola i rapporti del terziario avanzato. Lo fa appunto con la sperimentazione sulla sua vittima delle quattro fasi di Pavlov. Le fasi sperimentate dallo scienziato russo prevedono che la cavia da laboratorio, un cane per l'appunto, venga condotta gradualmente fuori dal suo stato istintuale. Il monologo riproduce le quattro fasi dell'esperimento pavloviano attraverso le tappe di affinamento del gioco crudele tra Martina e Bruno: 1) prima Bruno desidera Martina, senza poterla possedere; 2) dopo il primo incontro carnale, 3) Bruno sostituirà il desiderio con il dolore e la privazione. Il ragazzo sentimentale e impacciato, diventerà gradualmente un partner assoggettato e consapevole del ruolo, scenderà sempre più a fondo in una spirale di umiliazione fuori dalla sua sfera naturale, legato ad un letto e costretto a mediare il piacere con la privazione. Ogni gesto di compensazione dal dolore è un gesto di piacere. Questa è la verità crudele che Martina incide sulla carne di Bruno. 4) Verso la fine del poemetto-monologo, tra la terza e quarta fase, ci sarà una svolta nei rapporti tra i due protagonisti. Bruno, pienamente consapevole dell'insegnamento impartitogli dall'amante, chiede che lo si lasci morire; vuole sciogliere il nodo, vuole uscire dal legame di vittima-carnefice, uscire dalla dinamica antica di servo-padrone. La sua scelta dà vita ad una vera e propria katabasis. Se non c'è un luogo ideale, se non c'è un posto di equilibrio tra le forze, la sola soluzione è per Bruno la sottrazione estrema dal gioco. Una discesa oltre il condizionamento sociale e scientifico. Alla fine della perizia la stessa Martina si dirà sorpresa dalla fine di Bruno. Il suo voler morire d'inedia ha tradotto la quarta fase dell'esperimento pavloviano (-il desiderio privo d'oggetto-) in un'effimera fuga mistica. Il cadavere di Bruno legato al letto, inscena un martirio contemporaneo, privo di ascensione.

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