mercoledì 1 gennaio 2014

2000 e qualcosa

Essere seduto lì, perfetto, in poltrona, senza più niente, neanche quel chiodo mistico conficcato nella tempia che altri chiamano mal di testa,  in un coma alimentare, concentrato come un Buddha napoletano intorno alla propria pancia, punto archimedeo del nulla che sto diventando, via digestiva all’assoluto. Il sottofondo della tv - il discorso del presidente, il circo gli acrobati, Alberto e Stephanie di monaco, i clown,  gli elefanti a festa, la nostra vita - il vociare sempre più remoto dei parenti - generazioni accatastate in pochi metri quadri - e sapere finalmente che non c’è altro, mai, neanche un baluginio di luci oltre la  finestra e l’incalzare dei botti di fine anno. Ma ora importa solo quest’istante di perfetta padronanza di sé pur non padroneggiando niente, se non, un attimo prima, l’ultimo schiaccianoci rimasto, un lasciarsi andare lentissimo nell’odore di fritto delle madri, aggrapparsi per un istante alla legge di un padre che si nasconde dietro un enigma di baffi fuori moda. Essere trasparente a se stesso nel torpore che avanza dallo stomaco - in un bruciore di fondo che nessun Maalox potrà sconfiggere - e risale come una lentissima marea fino a inondare il cervello. Anche questo finire non ha più nessun valore, rimanere per sempre riflesso sulla superficie lucida della guantiera dei dolci, nessun prima nessun dopo solo un’origine che prende forma in uno sbuffo d’aria mal camuffato, in una palpebra che cala sempre più come un piombo a coprire la vista. Forse ritornare è solo questo digerire quel che non siamo stati, nient’altro, senza paura senza più angoscia, ma una somma e una sottrazione che si azzerano. Buona fine, buon inizio. Un inizio e una fine che coincidono, finalmente, in un ultimo rigurgito esofageo. Perfetto.

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