venerdì 28 settembre 2012

Marco Fratta, Il pittore di Parole, Fara Editore


Con il racconto lungo Il pittore di parole, Marco Fratta, torinese, ha vinto la sez. A del concorso Faraexcelsior 2012 con le seguenti motivazioni:

«Dario, di Torino, con l'amico francese Bernard va in Svezia e fa il poeta. Tornato in Italia diventa ingegnere per realizzare il sogno di Bernard: una grande giostra che verrà costruita a Singapore. Colpisce di questo testo l'atmosfera assolutamente fiabesca, in cui l'autore pare avere concentrato sogni, aspirazioni e velleità con notevole immaginazione.» (Marina Sangiorgi)

«Non troppo coinvolgente nella trama, ma fluido e piacevole nello stile (e poi la citazione di Nick Drake in esergo vale un punto).» (Paolo Galloni)

«Il pittore di parole è un racconto che cattura l'attenzione e spinge a proseguire la lettura. Se questo basterebbe a distinguere la buona narrativa dalla cattiva, qui si aggiunge una proprietà di linguaggio evidente, a volte anche troppo. L'autore sa come strappare la risata, pur indulgendo a scrivere di sé nello scegliere un poeta come protagonista (e non rinunciando a prendersi la propria personale rivincita sulla "grande tradizione poetica italiana"). Un lavoro senz'altro buono.» (Paolo Calabrò)

«Una scrittura giovanile, lucida, coerente, al bivio tra oggettività e soggettività, che coniuga uno stile squisitamente poetico ad una prosa informale e gergale, capace di esaltare la forza espressiva, creativa e la tensione ideale dei protagonisti. Un racconto di formazione che passando attraverso una serie di mutamenti, esperienze, desideri, insoddisfazioni, contraddizioni sociali, drammi psicologici, approda ad esaltare i valori dell’interiorità , dell’altruismo e dell’amore. Il tutto dentro la cornice materiale e spirituale del viaggio-avventura attraverso le diversità e i contrasti di un’Europa (nord-sud) che viaggia ancora con marce e opportunità diverse.» (Maria Pina Ciancio)




Ante­prima
Non hai nulla da temere.
Per­ché i sogni che si mostra­rono a te, così gio­vane
par­la­vano della vita come un’eterna pri­ma­vera.
Nick Drake
1.
Sul porto di Göte­borg ormeg­giava una sana quiete di pri­ma­vera. La brezza virava verso ovest, come un eli­cot­tero impaz­zito di fronte ad osta­coli di carta. I capelli oscil­la­vano liberi, i ber­retti minac­cia­vano le fughe più pit­to­re­sche tra la schiuma delle onde. Pic­cole folle si affac­cia­vano verso il mare, con un certo fascino man­sueto tra le righe del sor­riso. I mari del nord sono così, d’altronde, quando li guardi: se non vuoi pian­gere devi sorridere.
Iote­bori, insi­steva lo sve­dese alla fer­mata dell’autobus. Sarete pure ita­liani, ma adesso siete in Sve­zia. Io non farei i capricci per impa­rare a dire Castel­ve­tere sul Calore, Capriate San Ger­va­sio, Satriano di Luca­nia, Ci-​vi-​ta-​vec-​chia. Si dice Iote­bori, non siete in un posto qualsiasi.
Poco più avanti alcuni ado­le­scenti sfrec­cia­vano sullo ska­te­board, così veloci che avreb­bero potuto dise­gnare nell’aria le frecce tri­co­lore di cui tutti ricor­diamo un tra­gico inci­dente. Inde­le­bile memo­ria nazionale.
Sulla Sal­tholm­sga­tan, l’immensa via che costeg­gia il pro­mon­to­rio, il tra­monto era sot­tile e poco inva­dente. Non aveva alcuna fretta di annun­ciare la sera. Sem­brava che le linee rosa del cielo doves­sero in qual­che modo arri­vare in ritardo ad un appun­ta­mento. Come le linee d’ombretto sotto gli occhi di una donna, quando il cito­fono è già suo­nato da un pezzo. Ma la mera­vi­glia esi­ste per farsi atten­dere: que­sta è la sto­ria di tutti.
Ioteb­buori. Vab­bene accussì? Sì sì, d’accordo. Sotto i tra­monti della Sve­zia va bene qual­siasi cosa. Chia­malo eccesso di tol­le­ranza da mera­vi­glia geo­gra­fica. Può fun­zio­nare, no?
Il pro­mon­to­rio è una bestia ter­re­stre costeg­giata dai pano­rami. Puoi per­derti. Ovun­que tu decida di vol­gere lo sguardo: ti perdi. Sei pul­vi­scolo atmo­sfe­rico nella realtà che ti rim­pic­cio­li­sce. La radice dell’inquietudine, in quel caso, è lo smar­ri­mento della tua dimen­sione fisica. Anche gra­zie a que­sta per­ce­zione esi­stono i poeti, poi­chè fram­men­tano le impres­sioni per sen­tirsi meno pic­coli, che non vuol dire sen­tirsi più grandi: si tratta di col­mare il pro­prio vuoto di fronte all’immenso scri­vendo parole senza tempo. Lunga vita ai poeti.
Sul pro­mon­to­rio la Sve­zia rimane senza Göte­borg, poi­chè pre­stata per un istante per­pe­tuo all’Oceano che diventa terra. Chiome bionde di donne bel­lis­sime rac­con­tano la sto­ria di un pezzo di terra che stuz­zica le mera­vi­glie del mondo. Poco lon­tano i fiordi nor­ve­gesi fanno da cor­nice alla gioia sem­pi­terna. Pro­ba­bil­mente Cri­sto si è messo a scal­pel­lare la costa con il mas­simo della non­cu­ranza, fino a creare una mera­vi­glia: sì, deve essere andata così, poi­chè la chiesa di Oscar Fre­drik è sem­pre piena di gente.
(…)

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