martedì 23 novembre 2010

23 Novembre 1980


Abbiamo visto il palmo delle mani sporco di ruggine
dopo aver percorso le scale a due a due
aggrappandoci alla ringhiera quasi divelta saltando
gli scalini spaccati. Dopo nelle piazze e nei parcheggi
abbiamo sentito il gelo riempire il vuoto e il silenzio
il mormorio di coperte avvolte sulle spalle
dei falò sulle scalinate di chiese e fontane.
Non avevamo capito che il terremoto era appena
iniziato, che avremmo dovuto aggirarci in un fragore
di tubi Innocenti e siringhe di cemento armato
di lavori in corso e doppi turni. Checco o’ cecov
mi chiamavamo alle elementari, per gli occhiali,
alcuni scherzavano altri picchiavano, io
mi difendevo a denti e graffi a calci nelle palle.
Ci prendevamo a mazzate all’uscita della scuola
rubavamo qualcosa nei negozi evitando i calci
in culo e i chitemmuort, tornavamo urlando
o tacendo mentre nei vicoli teste affioravano
dai muretti di contenimento, come alieni, armati
di lacci emostatici e siringhe. Altri sparavano
qualcuno moriva qualcuno si arricchiva.
Abbiamo imparato di nuovo a contare da zero
ad avere un nuovo prima e dopo come fosse
un’altra nascita di cristo come lo era stato prima
il colera o la guerra, per chi se la ricordava. Ma
da allora, veramente, dalle sette e trentaquattro di quella
domenica sera, lo giuro, io, non ci ho capito più niente.

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