martedì 17 novembre 2009

Dio ti Allevi


Gli artisti di oggi sono un po' i colletti bianchi della terziario spettacolare. Irrigimentano le masse. In questo ci sono i campioni, coloro che sintetizzano i gusti e fanno da gangli delle emozioni (perentoriamente "viscerali") del pubblico. Sono come gli omologatori di particelle, gli abbassatori di tono della pretese titaniche dei fautori del buon gusto e della forma. In questo c'è il passaggio epocale direi, ma quest'ultima mi sembra parola grossa, tra l'ottocento-novecento e il nuovo millennio. Un campione in questo senso è il giovane pianista Allevi. Dice G. Allevi: "io ho fatto una rivoluzione copernicana, non è il pubblico che va verso l'artista, ma l'artista che va verso il pubblico". (li immaginate Glenn Gould o Michelangeli dire una cosa del genere?) A questa frase mettete il sottofondo della sua risata molliccia e il gioco è fatto. E' stato come scoprire l'antimateria. Il vuoto nell'arte. Del resto lui ha anche studiato filosofia: titolo della tesi: "Il nulla in fisica". Vale più come ricercatore che come musicista.

martedì 3 novembre 2009

Presentazione di "Ogni cinque bracciate" di V.M. Frungillo

Le Lettere
Lunedì 9 novembre 2009, ore 18.00
in occasione del ventennale della caduta del muro di Berlino
alla libreria Feltrinelli di Milano, via Manzoni, 12
verrà presentato il libro
Ogni cinque bracciate
con l’autore Vincenzo Frungillo
saranno presenti
Giancarlo Pontiggia (poeta, saggista e critico letterario)
Alessandra Iadicicco (giornalista e traduttrice dal tedesco)

Il silenzio della rete

Il silenzio è di vario tipo, si potrebbe scrivere una casistica infinita dei silenzi, tentarci così come Goethe ha tentato con i colori, ma non credo che ci si riuscirebbe. Allora si può tentare i indicare i due estremi di una casisitica possibile: da una parte il silenzio religioso e dall'altra quello omertoso.
Si intuisce subito che questi due modi del non detto, o della pausa verbale (qui si complica ancora la faccenda) sono i più diffusi in Italia. In realtà i due modi si confondono in Italia. Di norma il silenzio religioso è quello che permette l'avvento di un qualcosa di non umano, intendendo per umano "che appartiene alla tecnologia umana, alla sua potenza" (compresa la parola); scriveva S. Weil a proposito di questo: «Non esercitare tutto il potere di cui si dispone, vuol dire esercitare il vuoto. Ciò è contrario a tutte le leggi della natura: solo la grazia può farlo. La grazia colma, ma può entrare soltanto là dove c’è un vuoto a riceverla; e, quel vuoto, è essa a farlo». Questo è a mio avviso il silenzio nella sua forma sublime. Poi c'è il silenzio nella sua forma più meschina: l'omertà. Noi del sud la conosciamo bene. Siamo abituati da ragazzi a scontrarci con il non vedere, il non dire. E' la prima scelta tragica che facciamo: dire o non dire, e questo credo sia la causa della nostra natura teoretica (nel bene e nel male). Solo per fare una digressione personale: una volta un parcheggiatore abusivo pretendeva il pizzo (perché di questo si tratta) sul mio parcheggio e gli dissi che non volevo dargli i soldi: lui andò via imprecando:"si sono persi tutti i valori. Anche l'omertà si è persa!"
Comunque l'omertà per fortuna e per sfortuna si è capito non essere una prerogativa del sud. In ogni modo il silenzio omertoso significa non-scelta. E' un silenzio che fa male. Non è privo di direzione quel silenzio: io sto zitto, non prendo parte, lascio che la forza, il potere del sistema, della comunità, che "deve" necessariamente scaricarsi su qualcuno, ricada su una vittimia prescelta. Può essere sia il potere di una organizzazione criminale che il potere dello stato democratico. Dove c'è un consorzio umano, c'è esercizio di potere: dove c'è esercizio di potere c'è una vittima che deve subirlo. La vittima prescelta sarà di norma colui o colei che non rispetta le regole, che non rispetta il patto. Dicevo che in Italia le due forma si confondono, ossia quella religiosa, propria della grazia, e quella omertosa, propria del potere politico, perché la sfera religiosa e la sfera del potere si toccano da sempre. La ricaduta nel costume è che noi italiani non abbiamo una visione limpida né della sfera religiosa né di quella politica; stiamo zitti come i preti quando nel quotidiano ci troviamo di fronte ad una persona o ad un fenomeno eccezionale, che eccede la regola per un qualsiasi motivo. Aspettiamo che sia il gruppo a isolarlo. Anche il suo nome è messo al bando. Non bisogna fare quel nome, bisogna farlo morire di solitudine. Proviamo a rivedere quanto ci ritroviamo in questo meccanismo, quanto ci appartiene!
Taciamo il nome di quella persona perché non si riconosca nella società, perché non viva nel consorzio morale del Super-io, resti nella sfera dell'io per sempre. Così le due possibilità che diamo a quell'individuo sono o l'inaridimento o la riscoperta del vero silenzio, del sublime e assoluto religioso.