sabato 27 settembre 2008

Morire...è stato leale


Adieu à Gonzague

Da molto tempo
volevo scusarmi con te. La Valigia vuota
non aveva detto abbastanza. La vedevo lì,
gettata per strada, e non l’ho aperta. È stato
il mio peccato d’omissione. Tremendo peccato d’omissione
davanti a una preghiera finalmente
tua. E se qualcuno prega con le uniche parole che ha, che gli restano,
è necessario ascoltare.

“Le telefono per dirLe che Gonzague è morto”. Era una voce anziana.

Ho attraversato periferie, sono corso
nella tua camera. Era la camera che conoscevo.
Tutto al suo posto. Le carte sulla scrivania,
le scatole dei fiammiferi ben ordinate,
la pistola, un cuscino per silenziatore.
Tutto era perfetto, e mortale. Ordinatamente
mortale. La spazzola sul tavolo, lo specchio.
Ti pettinavi con cura e andavi nei bar a portare morte.
Ma stavi zitto. Nessuno si accorgeva di nulla.
Non hai osato supplicare da vivo, non ne hai
avuto il coraggio.

Non puoi rimproverarmi di nulla. Hai pregato
con una pallottola.
Non puoi rimproverarmi di essere rimasto a bocca chiusa.
Se nella tua valigia ci fossero veramente parole,
l’avrei aperta, l’avrei
spalancata con queste mani. E se una pallottola
è stata la tua unica supplica,
la mia risposta può giungerti soltanto adesso. Non
accusarmi di essere in ritardo. E poi
non è vero ciò che ho detto all’inizio…
non devo scusarmi di nulla, non dobbiamo scusarci di nulla.
Ma devo scriverti
Questo sì…scrivere. Bisogna scrivere soltanto
se si ha qualcosa nel cuore: e se non scrivessi qualcosa adesso
chiunque avrebbe il diritto di sputarmi in faccia.

Alla sera ti drogavi. E poi ridevi, continuavi a ridere
con le tue mascelle forti. Poi
crollavi su un tappeto. E ti svegliavi il giorno dopo,
impeccabile,
con il tuo sorriso gentile, nel fuoco fatuo.
Una volta
ti ho visto a letto con una donna. Non lo scorderò mai,
ancora oggi ne porto la ferita, eri gentile. Ma
eiaculavi il nulla. Lei ti guardava sbigottita. Tu sorridevi.

Ma basta con questi piagnistei. Dopo tutto, maledizione,
sei morto perché non avevi talento.
E avevi anche il torto di confessarlo
alle donne. Le donne… non le hai mai amate.
Non accettavi
che respirassero da sole. Eppure respiravano.
E ne eri terrorizzato. Sotto ogni seno
vedevi un respiro. E dal momento
che esso si lasciava mostrare,
volevi afferrarlo; e sbagliavi sempre.

Gonzague, sei stato mio amico, sei stato leale con me.
A volte un’amicizia ha fatto risorgere i morti.
Non potrà succedere tra noi. Dieci
minuti fa ti ho voluto ancora, ho voluto
la trasfusione di tutto il sangue. Ma tu sei ostinato. Sorridi
del mio incantesimo. Come potrò sollevare la bara
di chi sorride così? No, nessuna resurrezione
tra noi. Però non dimentico nulla… di te… che hai sofferto
senza chiasso.
La tua tristezza non ti ha impedito
di scegliere tra il fango e la morte.
Morire… è stato leale… non potevi
offrirmi una prova più grande.

Questo testo di Pierre Drieu La Rochelle - qui nella versione di Milo De Angelis per l’omonimo paragrafo del libro Poesia e destino da cui queste poche note traggono ispirazione - fu ritrovato tra le carte di Drieu dopo il suicidio avvenuto il 15 marzo 1945 e riprende, da un punto di vista diverso, il tema del romanzo Le feu follet (Fuoco fatuo) e il tema centrale dell’intera opera (si veda Récit secret – Racconto segreto) di Drieu, l’auto-distruzione fino al gesto estremo, non solo e non tanto come atto di disperazione, anche se gli Unni sono alle porte, per citare lo stesso Drieu nel suo diario, ma come punto d’arrivo di una logica implacabile (“Da ragazzo ho giurato a me stesso di rimanere fedele alla mia giovinezza: un giorno ho cercato di mantenere la parola.” Racconto segreto), che non si accontenta del rimorso, della tristezza o tanto più del melodramma del se avessi ma arriva sino allo strappo finale, lì dove si spezza il nesso tra parola pensiero ed essere, dove la parola si ritrae o, al massimo, arriva postuma e, dove riesce a dire qualcosa di essenziale, senza la pretesa di salvare ciò che non può essere salvato.

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