sabato 24 maggio 2008

Violante sull'ultimo libro di versi di De Vivo



testo di Salvatore Violante

In Prisco De Vivo la poesia è ascolto, come da un orecchio pressato su d’una parete che ne affievolisce il suono. Le voci che provengono dalla realtà del mondo, giungono deformate e frammentate, dilatate nell’interiorità, dalla voglia sfrenata dell’appropriazione complessiva. È un poeta le cui atmosfere, si possono respirare nei cimiteri, nei bistrot, o nelle cattedrali d’oltralpe. In questa poesia il triste, diventa mera rappresentazione raggelata da una contemplazione barocca, oppure deformata da un segno capriccioso. Le sue poesie sono ciascuna, una diapositiva priva di colori dove il nero è lo sfondo e il disegno, solo una remota traccia di vita. L’ultima raccolta, DALLA PENULTIMA SOGLIA (Poesie 2001-2007) stampato per i tipi di Marcus Edizioni (Napoli 2008), corrisponde in pieno a queste caratteristiche.Questo autore, nato a S. Giuseppe Vesuviano nel 1971, è un pittore abbastanza noto che veste la sua pittura di segni disperati ma graffianti a ricercare una finestra, uno spacco di luce rigeneratore. Egli arriva alla penultima soglia dopo essere passato attraverso l’esperienza poetica di un’altra raccolta DELL’AMORE DEL SANGUE E DEL RICORDO in cui il Nostro tenta la via al misticismo attraverso un’ascensione dell’eros: un’esaltazione sensoriale simile a quella delle autoflagellazioni cinquecentesche. È una poesia occasionale in cui il fatto perde la sua quotidianità sebbene segnato da contorni di forte carnalità. Si fa puro decoro, fredda icona ad indicare una tensione più che una storia. Nella poesia di De Vivo, la vita è assente: c’è un’aspirazione, un desiderio, un ricordo. Si ha l’impressione di trovarsi su di una spiaggia dopo una tempesta: tutta piena di detriti, di tracce di vita passata; oppure in una cella di un monastero con un frate che sogna e prega, sogna la carne del mondo lontano, ed ebbro d’eccitazione, la trasporta nella preghiera.

Camminavo stordito
inseguito dai cani.
Il ditale di una signora scalza
davanti alla mia bocca.
Quella vecchia mi perseguitava
dicendomi che i miei occhi
non fanno paura a nessuno. Bisogna
solo cucirli affinché mi possa
guardare l’anima.

L’immagine è lontana. C’è un inseguimento di cani privo della tensione che una scena simile dovrebbe produrre. Poi una signora scalza impone col ditale sulla bocca il silenzio. Anche qui è solo annotazione, manca l’eccitazione drammatica. Così pure la persecuzione della vecchia che dice al poeta che i suoi occhi non fanno paura a nessuno. Qui anzi c’è un rifiuto o un’incapacità di vedere o sentire o far sentire emozioni fuori di se. Gli occhi vanno cuciti affinché il poeta possa guardarsi l’anima, il solo specchio possibile per una lettura colorata della realtà: la sola via di fuga. Tutte le immagini precedenti rappresentano il fondo della tela. Il colore è spento ed uniforme. L’unica nota di movimento e di colore è la cucitura degli occhi che comporta l’aprirsi alla luce interiore. Ecco la penultima soglia, l’affacciarsi alla vita attraverso una porta aperta che dia valore eterno all’occasionale, al mutevole, al terreno, per arrivare all’ultima soglia un poco più sazi, quando i giochi saranno compiuti del tutto.

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